Quello sembrava più uno spazio ricavato da un pollaio o da un abbeveratoio per animali che uno studio veterinario: porte di ferro, pareti grezze rinfrescate a calce, due vecchi neon sul soffitto. Lo aspettammo e arrivò dopo un po', basso e grassetto, un po' sudato e con una valigia di pelle.
Guardò Ceghi e il suo pancino gonfio gonfio e, perentorio, 'Bisogna sverminare', disse. ' Fate attenzione a non tenerlo a contatto con le sue feci'. E, detto, fatto. 'Dottore, ma il cane è svezzato?', chiesi. E lui, alzandogli la pelle del muso per guardare la dentatura rispose che, sì, aveva circa due mesi. E così mi spiegai, a mio modo, come mai gironzolasse solo per le vie di campagna. Certo è che, a due mesi, questo poteva significare che fosse un impavido e un avventuriero o che avesse perso il resto della sua famiglia, o entrambe le cose.
Sistemato sul bancone com'era, lo si poteva vedere bene: aveva pochissimo pelo, ciuffi sparuti di pelo lungo, per lo più pelle nuda e qualche crosta. Per niente un bel vedere. E nemmeno un buon odore, a dirla tutta. Dopo averlo osservato da dietro a quegli occhiali con la montatura spessa giallo ambra, disse che era rogna e che sarebbe guarito con una cura di zolfo. Prescrisse un unguento e ci indicò un farmacista che faceva preparati in una campagna di Monopoli.
Ci sarei andata il giorno dopo con mio padre che, in quanto a contrade di Monopoli, era in pratica il più esperto. Sapeva esattamente dove andare. E la cremina, in un anonimo contenitore bianco, sarebbe stata pronta di lì a pochi giorni. Quella è l'unica immagine dell'infanzia di Ceghi in cui mi ricordo chiaramente la presenza di mio padre.
Ho vissuto un'infanzia e un'adolescenza triste, o meglio triste era la mia non famiglia, come accade a migliaia di figli unici di genitori incapaci a tenere acceso un focolare domestico. Ho reagito come hanno fatto tanti altri come me: facendo annegare nella nebbia i giorni privi di senso fino al punto di rimuovere anche il ricordo di fatti importanti; mettendo nel dimenticatoio le cose che fuori di me mi procuravano dolore e concentrandomi nella costruzione di me stessa, negli studi, nelle amicizie, nelle storie d'amore. Sicché raccontare la storia del mio cane è il mio unguento allo zolfo.
'Grazie, dottore...arrivederci'.
...sono sempre più convinta che certe vicende della vita non possano essere incasellate come "puro caso". Cheghi era lì per te, un dono preparato, ti aspettava...
RispondiEliminaAntonella Pascarella