sabato 10 maggio 2014

09. La strada di casa

Poi un giorno non lo trovai più: arrivai alla casa sul Monte e vidi il suo collare attaccato alla catena, vuoto. Era andato via di nuovo. Pensavo che la sua indole libera e indomita avesse avuto la meglio sull'attaccamento a me. E anche che una vita alla catena non era poi una gran bella vita, ma questo lo sapevo già. Non che mi facesse piacere che fosse scappato, ma ero felice che si fosse guadagnato la libertà, visto che quella a cui lo obbligavo io era una condizione comunque precaria. Tornai a casa e raccontai a mamma l'accaduto; provai a cercarlo, ma niente. Non feci in tempo a disperarmi: passò forse un giorno, o forse ne passarono due, e il suo abbaio fastidioso e inconfondibile risuonò in via Panaro. Noooo, aveva ritrovato da solo la strada di casa: la sua casa, la vera casa! Ma mia madre non ne voleva sapere e quindi lo riportai di nuovo sul Monte: la strada ormai l'aveva capita e quindi cominciò con lo sport di tornare a casa un giorno sì e un giorno no. Quando ripresi, non molto tempo dopo, a vivere a Bari Cheghi venne con me: ogni volta che tornavamo a Conversano, alla salita del Monte cominciava ad abbaiare e non la smetteva fino alla via di Panaro. Qualche anno dopo presi casa in zona Casopietro e da lì, dopo una settimana, scappò: destinazione via Panaro. Scappò un paio di volte e imparò la strada di casa.. e non scappò più. Poi, con L., prendemmo casa al Boschetto, con Cheghi, ma anche con Gustavo e Orlando, che ai tempi era poco più che un cucciolo. Cheghi scappò di nuovo una volta e tornò in poche ore a casa di mia madre, come ormai nella norma. Anche Gustavo scappò ma si perse e arrivò a casa di mia madre dopo qualche giorno e dopo una piccola odissea sotto l'acqua rimediando anche delle bolle sotto i polpastrelli perché era rimasto in cammino tutto il tempo. Ed era rimasto sveglio tutto il tempo, tant'è che al suo rientro dormì forse due giorni di fila. Poi fu la volta di Orlando: anche lui scappò, di prima mattina. Appena usciti sul terrazzino in cui c'erano le cucce notammo immediatamente l'assenza del piccoletto. Panico, ma giusto per pochi secondi, il tempo esatto di renderci conto che mancava anche Cheghi: erano andati via insieme e quindi non c'era niente da temere. 'Pronto, mamma?'. 'Ehi, Anto, dimmi'. 'Vedi che Cheghi è scappato e questa volta si è portato appresso Orlando.'. Risate. Dritta in auto in via Panaro arrivai prima dei cani, questa volta. L'immagine che apparve circa una mezz'ora dopo è scolpita nella mia memoria: dall'angolo con via Lipari, quello che porta alla Cattedrale, fiero e baldanzoso il comandante fece capolino e, dopo una pipì, venne di corsa verso il numero 25; e Orlando, dopo pochissimi minuti, trafelatissimo, con le orecchie e la lingua che strisciavano per terra dalla fatica, tutto dinoccolato, come lo sono i cani e i bambini piccoli che quando si muovono sculettano, sopraggiunse. Che felicità! Dopo l'alluvione del 2006 lasciammo la casa al Boschetto e prendemmo casa di nuovo sul Monte, ma questa volta nella via vecchia di San Vito. Neanche a dirlo, il comandante fece ancora la strada verso il paese vecchio, una volta sola però. Ormai era già grandicello, aveva compiuto i dieci anni (umani) e queste non erano imprese che si potevano ripetere con frequenza. O forse era meglio non ripeterle affatto. Ormai era chiaro: aveva bisogno di rappresentare ciascun posto nuovo in cui ci spostavamo nella sua personale cartina geografica, centrata a casa di mamma. E ogni volta dimostrava di saper tornare alla base. Che usasse allo scopo la pipì, lo abbiamo capito solo col tempo. Non ne faceva fintanto che una strada non aveva una biforcazione o un incrocio e ovviamente il suo bisognino era fatto proprio dalla parte verso la quale bisognava girare. Un metodo infallibile, da vero cane di strada, da vero condottiero. Era, senza dubbio, un genio.

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