sabato 9 giugno 2012

01. Sette vite più dei gatti

Dopo aver rimandato anche troppo è ora di cominciare a mettere nero su bianco la storia del più grande, eroico, testardo cane che io abbia mai conosciuto.
Il mio Che Guevara.
Inizio dicembre 1995, fiat 500 bianca, io e mamma per le vie di campagna. Era pomeriggio, ma uno di quei pomeriggi che era già notte: la passeggiata e la visita alla nostra amica Dina sarebbe servita a risollevarmi il morale, aveva detto la mamma. La 'Cinquina' spernacchiava e illuminava la strada con i suoi anabbaglianti fiochi.
Non ricordo di cosa si stesse parlando, ricordo il contachilometri nero dalla forma rotonda, ricordo i piccoli interruttori di ferro, quelli che col loro movimento in alto e in basso ti facevano accendere le luci. Poi il cielo sempre più scuro man mano che la macchina avanzava per la strada di campagna. In realtà non ricordo se stessimo realmente parlando: era quello un periodo in cui discutevo molto con me stessa, quindi tra le parole fuori e le parole dentro non è che si riuscisse a fare molta differenza.
'Guarda! Che cos'è, un topo? Oh, guarda!' disse. Una pallina rosa che per evitare i fari si era rifugiata tra le erbe del campo sul ciglio della strada. Scese dalla Cinquecento, andammo incontro a quella specie di esserino. Non aveva troppa paura, ricordo che non lo pregammo molto perché si avvicinasse. Era piccolo, forse era appena stato svezzato. Completamente solo. Non c'erano altri cuccioli e non si sentivano nemmeno guaiti in lontananza. Non c'era una mamma.
A guardarlo meglio, su quella pelle rosa comparivano piaghette e delle specie di cicatrici. Era malato, lo dovevamo necessariamente portare con noi. Lo dovevamo curare. E così fu che salì in macchina, o ce lo mettemmo noi, e andammo dritte a trovare un veterinario.

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