lunedì 11 giugno 2012

03. Una bella rogna..

Quello sembrava più uno spazio ricavato da un pollaio o da un abbeveratoio per animali che uno studio veterinario: porte di ferro, pareti grezze rinfrescate a calce, due vecchi neon sul soffitto. Lo aspettammo e arrivò dopo un po', basso e grassetto, un po' sudato e con una valigia di pelle.
Guardò Ceghi e il suo pancino gonfio gonfio e, perentorio, 'Bisogna sverminare', disse. ' Fate attenzione a non tenerlo a contatto con le sue feci'. E, detto, fatto. 'Dottore, ma il cane è svezzato?', chiesi. E lui, alzandogli la pelle del muso per guardare la dentatura rispose che, sì, aveva circa due mesi. E così mi spiegai, a mio modo, come mai gironzolasse solo per le vie di campagna. Certo è che, a due mesi, questo poteva significare che fosse un impavido e un avventuriero o che avesse perso il resto della sua famiglia, o entrambe le cose.
Sistemato sul bancone com'era, lo si poteva vedere bene: aveva pochissimo pelo, ciuffi sparuti di pelo lungo, per lo più pelle nuda e qualche crosta. Per niente un bel vedere. E nemmeno un buon odore, a dirla tutta. Dopo averlo osservato da dietro a quegli occhiali con la montatura spessa giallo ambra, disse che era rogna e che sarebbe guarito con una cura di zolfo. Prescrisse un unguento e ci indicò un farmacista che faceva preparati in una campagna di Monopoli.
Ci sarei andata il giorno dopo con mio padre che, in quanto a contrade di Monopoli, era in pratica il più esperto. Sapeva esattamente dove andare. E la cremina, in un anonimo contenitore bianco, sarebbe stata pronta di lì a pochi giorni. Quella è l'unica immagine dell'infanzia di Ceghi in cui mi ricordo chiaramente la presenza di mio padre.
Ho vissuto un'infanzia e un'adolescenza triste, o meglio triste era la mia non famiglia, come accade a migliaia di figli unici di genitori incapaci a tenere acceso un focolare domestico. Ho reagito come hanno fatto tanti altri come me: facendo annegare nella nebbia i giorni privi di senso fino al punto di rimuovere anche il ricordo di fatti importanti; mettendo nel dimenticatoio le cose che fuori di me mi procuravano dolore e concentrandomi nella costruzione di me stessa, negli studi, nelle amicizie, nelle storie d'amore. Sicché raccontare la storia del mio cane è il mio unguento allo zolfo.
'Grazie, dottore...arrivederci'.

1 commento:

  1. ...sono sempre più convinta che certe vicende della vita non possano essere incasellate come "puro caso". Cheghi era lì per te, un dono preparato, ti aspettava...
    Antonella Pascarella

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