sabato 26 ottobre 2013

05 La prima vita. Anzi, la seconda

Io, mia madre e Cheghi non eravamo un terzetto proprio affidabile e così il comandante andò ben presto a vivere con tanti altri cani a casa della Commara. Una conoscente di un parente, che accoglieva i cani, ma li teneva alla catena. 'Fanno la guardia, diceva'. Una catena da un metro e mezzo, ma non c'era alternativa, in quel momento. Andavamo a trovarlo due volte a settimana portando pastone in abbondanza, per lui e per gli altri. Almeno così ci pulivamo la coscienza. Pensavamo che così stesse meglio che a fare il vagabondo e non so in che misura fossimo nella ragione.
Intanto quello era l'anno della maturità e me la presi, spaccando tutto come si suol dire. Con quel diploma in mano mi iscrissi al corso di laurea in Matematica e con l'assegno mensile di mio padre decisi di prendere casa a Bari. Le visite a Cheghi si ridussero a una alla settimana fino a che un bel giorno scoprimmo che il comandante aveva ricominciato la sua vita da vagabondo. Sì, era scappato da quella prigione affollata e rumorosa. Si era ripreso la sua libertà. Lo cercammo invano per qualche giorno, ma senza esito. E così cominciò il suo secondo vagabondaggio, che durò quasi un anno, più della mia prima permanenza a Bari da fuorisede.

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